DIZIONARIO MINIMO: Il bon per la pace
di Libero Venturi - domenica 30 settembre 2018 ore 07:45
“Portare il bon per la pace”, si dice così, non so se ovunque in Toscana, ma da noi sì. Ho messo in rete la frase ed è apparso un suggerimento: forse cercavi il “bob” per la pace. Così si sono presentati diversi siti: quelli di Bob Kennedy, Bob Marley e Bob Dylan. Per carità, tutti personaggi che con il tema della pace hanno avuto e hanno egregiamente a che fare, ma io non cercavo il “bob”, cercavo proprio il “bon” per la pace.
“Bon” nel senso di buono o di bene. Sarà forse un francesismo? Addirittura un retaggio napoleonico? Io spesso, chissà perché, per manifestare approvazione, intercalo con un “bon”, per dire “bene”. Alla francese, appunto. Così, proseguendo la ricerca con questo labile e privato indizio, addentratomi nei meandri dell’informatica, mi sono imbattuto nientepopodimenoché nel “Grande Dizionario Italiano-Francese composto sui dizionarj dell’Accademia di Francia, della Crusca, ed arricchito di tutti i termini proprj delle scienze e delle arti dell’abate Francesco D’Alberti di Villanova, edizione notabilmente corretta, migliorata ed accresciuta di vocaboli e ridotta a più concise dichiarazione del sacerdote Giuseppe Anselmi, dottore di eloquenza latina nel già Liceo di Casale Monferrato e professore emerito della Regia Accademia Militare di Torino”. ‘Azzo! In quel ponderoso tomo, alla voce “buono”, il bene, le bien, ce qui est bon, -che, pur in francese, sarebbe una tautologia- tra i vari esempi compare: “dare il buon per la pace, dicesi del cercare anche con suo svantaggio la pace. Sacrifier quelque chose”.
Allora forse esiste un trascorso francese per quel modo di dire. Del resto c’è una comune derivazione latina. Infatti nella “Lessicografia dell’Accademia della Crusca in rete” la voce “pace” è descritta così: concordia, pubblica e privata tranquillità, contrario di guerra e di discordia, dal latino pax, “pace è detta da patto, il quale si serva, ovvero si dee servare dall'una, e dall'altra parte comunemente”. E dagli illustri accademici viene riportata la dizione: “dar del buon per la pace”, dal latino pro bono pacis aliquid remittere, vel condonare, non omnia suo iure agere. Al proposito sono citati i seguenti esempi: “dare del buon per la pace è favellare umilmente, e dir cose, mediante le quali si possa comprendere, che alcuno cali, e voglia venire agli accordi”. Ancora: “in queste controversie miglior consiglio sì è, placidamente rispondendo, dar del buon per la pace”. E infine: “come Irlacon la vide così tinta, cominciò a darle del buon per la pace, e disse alcuna paroletta finta”.
Non so chi sia Irlacon che se la vide tinta, ma se a dar per la pace il bon, usava qualche paroletta finta, a me mi resta un poco sui coglion. Che “a me mi” non si dice nemmeno. Allora “a me rimane un poco sui coglion”. Così anche la Crusca è rispettata.
In genere ho antipatia per gli imbonitori, oggi è facile dire i politici, ma non lo farò perché la politica non mi dispiacerebbe, a farla bene. Insomma mi stanno sulle scatole tutti i “saggi” che usano il "sopire, troncare...troncare, sopire", di manzoniana memoria per convincere, ammansire, pacificare, portare, appunto, il bon per la pace, placidamente, con “farisaica onestà”. Sarà il retaggio di una gioventù “rivoluzionaria”, sia pur detto e scritto fra molte virgolette. Del resto chi è stato in gioventù moderato e “pompiere”, nel senso che ha spento il fuoco che un giovane deve avere dentro per contratto generazionale, da vecchio si ritroverà, quasi fatalmente, conservatore e reazionario per default d’età. Io sono stato un sessantottino, un contestatore. Per fortuna e per scelta, non ho mai gridato o tantomeno fatto, “cose orrende e violentissime”, per dirla con Nanni Moretti. Io gridavo “cose giuste” -o presunte tali- e ora sono uno “splendido sessantenne”. E coda. “Splendido”, ancora molto virgolettato e l’aggiornamento anagrafico è d’obbligo. Moretti diceva quarantenne.
L’età avanzata e la “maturità”, sempre tra molte virgolette, mi portano ad apprezzare di più i pacièri -un po’ meno i piaceri, purtroppo- ma non i paciosi. Mai. Però non vorrei essere frainteso: la mia non è una posizione contro il “buonismo” e i “buonisti”. Semmai oggi, oltre le divisioni manichee, dovremmo temere il “cattivismo” e i “cattivisti”. Il “malismo” che imperversa. Voglio solo dire che la tolleranza è una gran cosa, ma non voglio sentirmi “pacificato”, accomodante, arreso. Al di là di queste resistibili “perle di saggezza”, ci deve essere un modo di essere riformatori, ma non moderati o, peggio, conservatori o, diononvoglia, addirittura reazionari. Una “terza via” tra tante cose. Nel mondo c’è bisogno più che mai della pace e dei suoi beati portatori. E, con la pace, di giustizia e di solidarietà. Di libertà e uguaglianza. Questi valori e questi ideali hanno ispirato un’epoca, una generazione. Torneranno? Occorre reagire, non adeguarsi, guardare avanti. Avere forza d’animo. Sentire. Il sentimento “sovrasta i ciechi tempi”: non so se basta al nostro riscatto, ma lo sostiene. Ora e sempre resilienza. Buona domenica e buona fortuna.
Libero Venturi
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Pontedera, 30 Settembre 2018
Irlacon è un personaggio del “Ciriffo Calvaneo” di Luca Pulci (1431-1470), poema cavalleresco, continuato alla morte dell’autore dal fratello Luigi e da Bernardo Giambullari. Le frasi attribuite a Nanni Moretti sono estrapolate dal suo film “Caro diario”. "Sopire, troncare, padre molto reverendo, troncare, sopire" fa parte del dialogo tra il Conte zio e il Padre provinciale ne “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni. “Sovrasta i ciechi tempi” è “A Liuba che parte” di Eugenio Montale.
Libero Venturi