DIZIONARIO MINIMO: Elezioni
di Libero Venturi - domenica 04 marzo 2018 ore 07:00
Oggi si svolgono le elezioni politiche per decidere, con il voto, il Governo del Paese. I presidenti del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, dalla sua proclamazione sino ad oggi, sono stati 28. Alcide De Gasperi è il politico più gettonato: 8 governi. La Democrazia Cristiana è il partito che ha annoverato la maggior parte di presidenti del Consiglio: 16. Il presidente più giovane è stato Matteo Renzi, che ha assunto la carica poco dopo aver compiuto 39 anni; il più anziano è stato Amintore Fanfani, che ha terminato il suo ultimo mandato, il sesto, a 79 anni compiuti. Il governo più duraturo è stato il secondo governo Berlusconi dal 2001 al 2005: quasi 4 anni, il più longevo della Repubblica e il secondo dal Regno d’Italia, se si esclude il ventennio della dittatura fascista di Mussolini. Al secondo governo Berlusconi seguì un terzo, dal 2005 al 2006.
Dalla nascita della Repubblica, dal 1946 ad oggi, sono passati 72 anni durante i quali si sono succeduti 65 governi con una durata media di 404 giorni: 1 anno e 1 mese circa ciascuno. E questo la dice lunga sulla debolezza e sulla frammentarietà complessive del sistema politico italiano.
La prima Repubblica, dalla sua nascita fino al primo governo Berlusconi del 1994, è vissuta 48 anni, con 51 governi di una durata media di 343 giorni circa, un po’ meno di un anno. Però i governi avevano tutti un unico comune denominatore, la DC, e una conventio ad escludendum, il Partito Comunista Italiano, che amministrava solo Regioni ed Enti locali. Ai governi organici di centro sinistra degli anni ‘60, con la DC, il Partito Socialista Italiano, i Socialdemocratici e i Repubblicani, si deve la più importante stagione di riforme sociali che hanno costituito e costituiscono ancora l’ossatura istituzionale del nostro Paese. La corruzione, denunciata da Berlinguer e successivamente perseguita dalla magistratura, è stata una delle principali cause del crollo del sistema politico. L’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, con complicità mai chiarite, e la morte di Berlinguer impedirono la formazione di un centro sinistra più orientato a sinistra con l’inclusione del PCI nella sfera del governo.
Per quanto riguarda la seconda Repubblica, inaugurata dal Governo di centro destra di Berlusconi, dal 1994 ai giorni nostri fanno 24 anni: ci sono stati 14 governi con una durata media di 625 giorni, 1 anno e otto mesi circa ciascuno, con maggioranze più variabili. Berlusconi, in questi 24 anni è stato quattro volte primo ministro, governando complessivamente quasi 10 anni. Nella storia della Repubblica è stato il presidente del Consiglio rimasto in carica, complessivamente, per più tempo: 3.340 giorni. Romano Prodi con il centro sinistra e l’Ulivo ha governato due volte per la durata di 2 anni ciascuna. La prima volta buttato giù da Rifondazione Comunista di Bertinotti e la seconda volta, per par condicio, dall’Udeur di Mastella. Gli altri sono stati governi tecnici o politici, in prevalenza formati per assicurare la governabilità del Paese e riparare ai guasti del centro destra.
La destra attuale, pur dichiarando che il fascismo è morto, si accorda con eredi ed emuli del fascismo. Non somiglia alla destra di governo inglese o francese, europeista, antifascista e antinazista, ma a quella, nazionalista e venata di xenofobia, che si sta affermando in diversi paesi, anche in quelli ex socialisti dell’est Europa. È una destra populista e dissipatrice di finanze, nonché di stato sociale, poco attenta com’è alla questione fiscale. Così la sinistra italiana è condannata a governi di salute pubblica che rimettano i conti in sesto, cercando nello stesso tempo di non indebolire le condizioni delle classi meno abbienti e del ceto medio, mantenendo la stella polare dell’Unione Europea. Impresa ardua nell’odierno sistema elettorale ad impianto proporzionale per due terzi, ma maggioritario per un terzo, per un centrosinistra unito, ma sempre diviso, con una destra divisa, ma sempre unita.
Si annunciano astensioni dal voto, sopratutto a sinistra. Questa volta non voto, così capiranno, così imparano. Che importa se è un diritto e un dovere civico, secondo l’art.48 della Costituzione? Se c’è chi ha combattuto o dato la vita perché noi possiamo farlo, per la nostra libertà. Non ci vado a votare perché Renzi mi sta sui coglioni e nessuno rappresenta più i veri valori ideali di sinistra. A volte siamo un gran Bel Paese. Altre volte un Paese imperfetto e materiale che schifa la politica e i partiti, ma che pretende da entrambi la perfezione assoluta e diventa assolutamente idealista in vista delle elezioni. L’assoluto contrapposto al relativo che, invece, è la conquista dei nostri tempi: e non è un pensiero debole. Sembra che si vada a votare per un nuovo referendum su Renzi oppure per confermare o respingere una posizione filosofica, non per stabilire chi, in base a ciò che più si avvicina a questa posizione, deve governare il Paese, almeno in teoria, i prossimi cinque anni. E che magari vinca chi è più lontano dai nostri convincimenti c’importa un’emerita pippa. Perché in democrazia è così: una testa, un voto e poi contare chi più ne ha. Questi sono i fondamentali, tutto il resto è il bel gioco. Non un gran sistema, in fondo, peccato non se ne conosca uno migliore. Poi se uno ha ideali e valori forti non teme il compromesso, anzi lo cerca. E la democrazia non è essa stessa un valore forte? La libertà, l’uguaglianza, la solidarietà lo sono. Sono il filo dell’orizzonte che si sposta sempre in avanti, dipende anche da noi, quanto. La pretesa di raggiungerlo una volta per tutte o di averlo già raggiunto quell’orizzonte o lo scoramento per la sua lontananza sono l’alibi o la scusa di chi non è più camminante.
La società italiana è sostanzialmente tripolare: c’è il centrosinistra, c’è la destra che è sempre più destra e sempre meno centro destra, e ci sono i populisti del Movimento 5 Stelle. Il resto non ha forza di governo, semmai ambizione di testimonianza.
Il centrosinistra unisce le forze riformiste della sinistra italiana e quelle del centro cattolico progressista, viene da un governo di coalizione formato per assicurare la governabilità del Paese. Non era un governo di centrosinistra, pur tuttavia cose ne ha fatte per rimetterci in carreggiata dai guai economici e finanziari, dal discredito internazionale e dal “bunga bunga” in cui la destra ci ha precipitato. I problemi ci sono, eccome, ma si è trattato di mantenere in agenda lavoro, progresso, solidarietà e giustizia. Affermare la sicurezza come questione sociale e non solo di ordine pubblico. Farci restare in Europa, cambiarla e farne in futuro una confederazione di Stati, autorevole e giusta, tra i grandi Paesi del mondo. E poi, c’è poco da fare, quando vedo persone conosciute che sapevo accesi comunisti o ferventi democristiani o storici socialisti, un tempo acerrimi rivali, fraternamente salutarsi e abbracciarsi mi commuovo. E quando vedo ragazzi e ragazze, che quella storia non hanno nemmeno vissuto, proseguire con speranza il cammino e rinnovarlo, ancor più mi emoziono.
La destra è divisa su tutto, perfino sui leader, ma affronterà unita le elezioni, sopratutto il maggioritario, dove basta un voto in più per conquistare il collegio. I Fratelli d’Italia sbianchettano sui moduli del Comune di Pontedera il riferimento alle leggi contro la ricostituzione del partito fascista e l’istigazione all’odio razziale che portano il nome di pericolosi “comunisti” democristiani quali Scelba e Mancino. E, dichiarando di non riconoscersi nell’antifascismo, ne fanno una questione di principio e di libertà. Ma la libertà di chi ci tolse la libertà, non rappresenta il principio della libertà, piuttosto la sua fine. La Lega agita i temi della sicurezza e dell’immigrazione. Sono questioni serie e complesse, che però vengono agitate come spettri evocando un nazionalismo pauroso e retrogrado che spesso sconfina nell’odio razziale. Solidarietà e sicurezza devono invece stare insieme per affrontare con responsabilità un mondo che cambia e chiede giustizia e pace. A capo di Forza Italia, Silvio Berlusconi, non eleggibile per problemi giudiziari, propone di ridurre il carico fiscale con la flat tax, una “tassa piatta” o forfettaria, in percentuale uguale per tutti. Mi chiedo, quanto riduce a noi poveri pensionati e quanto a lui povero ricco? E con cosa pagherà le mirabolanti promesse elettorali, firmate da Vespa come 17 anni fa e già allora disattese? Come sosterrà i costi dei presidi dello stato sociale? La flat tax viene descritta come una tassa proporzionale e non progressiva. L’articolo 53 della Costituzione della Repubblica Italiana recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Ed aggiunge: “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. La destra ha “sgovernato” l’Italia e ora sembra di essere nei racconti angoscianti di Stephen King, “A volte ritornano”.
Il populismo è un movimento discutibile, sia a pure a cinque stelle. In passato ha prevalentemente aperto la strada a scelte destrorse, per non dire peggio. Si somma spesso al qualunquismo e al giustizialismo, si lascia guidare dalla demagogia più che dalla democrazia. I suoi rappresentanti non hanno cultura ed esperienza di governo. In Europa, nella crisi della politica e della globalizzazione e di fronte alle scommesse e ai problemi della mondialità, soffia a destra e sinistra. In Italia si professa né di destra né di sinistra, ma le comprende tutte e due e questo a me sembra una caratterizzazione di destra, mai di sinistra. Incerto e ondivago, non a caso, sui temi dell’Europa, dell’immigrazione e perfino del fascismo. Rifiuta il sistema dei partiti che vuol distruggere e basa la sua sterile teoria sulla lettura di una parte dell’articolo uno della Costituzione: “la sovranità appartiene al popolo”. E vaffanculo. Peccato che invece l’articolo prosegua affermando “che la esercita nei limiti e nelle forme previste dalla Costituzione”. E queste forme sono il sistema di delega e di rappresentanza che si esprimono attraverso la politica e la selezione dei gruppi dirigenti. I partiti e relative segreterie saranno imperfetti quanto si vuole, ma non dipendono da un programma informatico né da un’azienda che se ne appropria e se ne serve per stabilire chi candidare. E se la politica in un Paese non è forte, il vuoto che lascia viene occupato o invaso da altri poteri che non stanno più in equilibrio fra loro: gli apparati dello Stato, ad esempio, o il sistema dei media oppure le forze e le categorie economiche. Tutti presupposti importanti, fondamentali, in un contesto democratico, ma nessuno di essi elettivo come la politica. Noi non votiamo i magistrati, i direttori dei giornali, i padroni del vapore. I nostri rappresentanti politici sì, li votiamo. La politica è l’unico potere direttamente connesso alla democrazia che riesce ad equilibrare gli altri poteri, garantendo la loro autonomia, ma impedendo e regolando interessi, sovrapposizioni e conflitti. Se è buona politica. Se invece è cattiva ne crea di nuovi o ne diviene subordinata e sottomessa.
Ma tanto si dice che anche questa volta non ci sarà chi ha i numeri per governare. Dove per “numeri” si intendono tante cose e anche quanti siamo. Si dice, ci penserà il saggio Presidente Mattarella e ci salverà il proseguo del governo di Paolo Gentiloni, che, in effetti, è bravo. È il discendente del conte Vincenzo Ottorino Gentiloni, fautore dello storico patto “Patto Gentiloni”, un accordo politico informale, riguardante i rapporti tra Stato e religione sul versante etico e dell’istruzione, tra l’Unione Elettorale Cattolica Italiana dal lui presieduta e i liberali di Giolitti, per le elezioni politiche del 1913. Evviva! Ciò è confortante perché rientra appieno nella tradizione della nostra fragile e precaria governabilità. Quasi un Made in Italy. Comunque la scelta sta agli elettori. Votate bene. Buona Domenica e buona fortuna.
Libero Venturi
Pontedera, 4 Marzo 2018
Libero Venturi