DIZIONARIO MINIMO: Feci
di Libero Venturi - domenica 27 agosto 2017 ore 08:00
"Feci". Voce del verbo fare, passato remoto, prima persona singolare. Ma in questo caso, non si tratta dell’autorevole verbo, bensì di un grazioso sostantivo femminile, oltretutto plurale: "le feci". Che comunque, anche se deriva dal latino faex, fecis che significa "feccia", vuol dire che le hai fatte. Insomma, con rispetto parlando, hai cacato. Bene, anzi no. Dopo un mese che, per malanni vari, ho dovuto ricorrere all'uso incrociato di antibiotici la mia flora intestinale è risultata gravemente disturbata e alterata. Offesa, potremmo anche dire. Infatti l'intestino se ne deve essere avuto a male -anch'io del resto un po' permaloso sono sempre stato- e, al posto della flora, nell'apparato digerente deve esserci rimasta una fauna selvaggia di batteri aggressivi e di difficile sradicamento. Sarà per questo che sarebbe meglio, per andare non solo di corpo, ma anche di metafora, che la società fosse governata da un apparato dirigente e non da un apparato digerente, come spesso avviene. Comunque l'effetto speciale prodotto da tutto ciò è uno squaraus diffuso che colpisce, doloroso e repentino, quando meno te lo aspetti: al supermercato, davanti al banco frigo dei latticini -deve essere il freddo che emana dai frigoriferi o il vago sentore del lattosio- oppure a pranzo da amici con effetti disastrosi, invalidanti e perfino ilari. Ilari perché gli amici, giustamente, ne ridono, laddove io, dolorosamente, ne soffro. Loro -le merde, scusate, ma tanto restiamo in tema- sanno che mi schifa persino parlare di queste cose e perciò regolarmente a fine pasti, ma ancora a tavola, usano introdurre apposta l'argomento di conversazione della cacca, come coprofago digestivo. E ora sì che potevano infierire. D'altronde mors tua, vita mea. Sono vissuto sperando, morirò cacando? Anche il Re Sole, scrive Prévert, si estinse nella sua seggetta cacatoria. Ma capace lui che disse “lo Stato sono io” era già, chiedo scusa, uno stronzo di suo.
Finché il dottore, che è un amico di gioventù, mi ha prescritto l'analisi delle feci. Così mi sono comprato l'apposito contenitore in farmacia e nella mattina, appena è stato possibile e non senza un certo schifo, i cui particolari vi risparmio, ho raccolto il materiale necessario dopodiché, inforcando la bici, sono corso all'ospedale. Dove, ovviamente, mi hanno chiesto l'impegnativa del medico. E bisogna con tutta onestà riconoscere che la richiesta non era affatto insensata. Ecco, questo è il lato simpatico di avere come medico un amico di gioventù: che quando vai per la visita si parla un po' dei tuoi mali e un po' del più e del meno. Così te dimentichi di chiedere l'impegnativa, in compenso lui dimentica di fartela. E allora, inforchi di nuovo la bici, pedali veloce sotto il sole agostano già alto nell’azzurro del cielo, raggiungi il laboratorio medico, recuperi il prezioso foglio e via di nuovo all'ospedale.
Tuttavia erano già passate le undici, dopodiché le feci non si ritirano più, mi spiega cortesemente, ma inesorabilmente l'impiegata allo sportello del Cup. Bisognava fare tutto prima. Una parola! A parte l'inconveniente dell'impegnativa mancante, del resto prontamente risolto, le feci, al di là dell’etimo, si esplicano perché prima le devi fare. Le farai? Non le farai? E quando le farai? Non è solo al cuore che non si comanda, anche il culo non scherza! Sempre con rispetto parlando. Insomma, mi era già sopraggiunto il terrore di dover ripetere, l'indomani presto, con tutte le incognite del caso, il macabro rito della fecale raccolta, ma, per fortuna, l'impiegata, molto professionale, mi ha spiegato che potevo conservare il prezioso reperto in frigo: in basso, nel reparto dei pomodori, ha precisato. E così diligentemente ho fatto, non senza avvolgere il contenitore della cacca in una busta di plastica isolante. Non si sa mai: l'igiene prima di tutto. E anche i pomodori.
Dalle analisi è risultato quello che è risultato e che non rivelerò per rispetto della privacy sanitaria a cui tutti, ma proprio tutti, perfino le persone affette da scrittura compulsiva, hanno diritto e così mi sono stati prescritti i farmaci appropriati per debellare il fenomeno. Del resto la vecchiaia si preannuncia e si misura da quante pasticche devi prendere la mattina, la sera o alle ore dei pasti. Le quali pasticche, per la legge del contrappasso, mi stanno creando l'effetto radicalmente opposto: una prolungata stipsi, un'apatica stitichezza. Insomma non caco più, ancora per parlare con rispetto. Il tutto aggravato da un quadro prostatico che rende avara anche la minzione. Sono talmente avvilito da questa situazione che l'altro giorno che mi trovavo a cena in un ristorante e una persona mi ha chiesto -chissà perché proprio a me, mi conosceva?- se sapevo dov'era la toilette, gli ho risposto, sconfortato: "no, ho smesso". Come quando uno ti chiede una sigaretta e te non gli dici solo "no", ma, maldisposto, aggiungi anche, "non fumo" oppure "non fumo più". Che a lui poi che gliene frega.
Comunque, miei cari e affezionati lettori, non vi preoccupate più di tanto, non state in pena: vi terrò puntualmente e debitamente informati circa l’esito dell’edificante vicenda. Confido nella scienza medica e in un decorso positivo. Passerà anche questa crisi, usciremo finalmente dal tunnel oppure trionfanti dal cesso!
Libero Venturi
Pontedera, 27 Agosto 2017
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Jacques Prévert, "L'eclisse": «Luigi XIV ovvero Re Sole per la storia/ era spesso seduto su una sedia cacatoria/ Verso il tramonto della sua monarchia/ una notte particolarmente buia/ il Re Sole si drizzò dal letto/ andò a sedersi sulla sua seggetta/ e sparì».
Libero Venturi