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martedì 19 marzo 2024

ARCHEOLOGIA E FUTURO — il Blog di Franco Cambi

Franco Cambi

FRANCO CAMBI - Nato all’isola d’Elba nel 1957, vive a Siena, dove si è laureato nel 1982 e dove insegna “Archeologia dei Paesaggi”. Ha tenuto numerose lezioni e conferenze. Ha partecipato a Convegni, Seminari e incontri di studio e svolge costantemente attività di comunicazione sul tema della archeologia dei paesaggi. E’ Dottore di Ricerca in Archeologia romana ed è stato titolare di una borsa di studio post-dottorale nonché membro della European Science Foundation e dei progetti “Populus”. Afferisce alla Scuola di Dottorato di ricerca in “Storia e Archeologia Globale dei Paesaggi” (Università degli Studi di Foggia) ed è membro del Centro Interuniversitario di Scienze del Territorio (Università di Firenze, Pisa, Siena, Scuola Normale Superiore, Scuola Sant’Anna). E’ socio della Società dei Territorialisti. Ha effettuato e diretto numerosi scavi e ricognizioni in Toscana, Puglia e Sicilia.

​Ancora sul golfo di Baratti

di Franco Cambi - venerdì 01 aprile 2016 ore 14:47

Coniugare competenze e saperi per il pubblico e la società (ricordando Riccardo Francovich)

Nove anni fa ci trovammo, straniti e addolorati, sull’Acropoli di Populonia per l’inaugurazione dell’ampliamento del Parco Archeologico di Baratti. Quel Parco era una delle molte creature di Riccardo Francovich, maestro della scuola archeologica senese, scomparso improvvisamente il giorno prima. L’archeologia di Riccardo aveva, fra le molte, due straordinarie proprietà: anticipava di almeno cinque anni il futuro, si trattasse di tutela, di ricerca o di valorizzazione; non cessava mai di confrontarsi con le altre discipline e di condividere tutto e sempre con la società. Mandiamo ancora avanti questi grandi insegnamenti.

Per molti anni il Golfo di Baratti è stato il luogo nel quale una grande famiglia di fatto, composta esclusivamente, o quasi, da archeologi, coordinata dalla Soprintendenza Archeologia della Toscana e ispirata dalla Società Parchi della Val di Cornia, ha fatto crescere una esperienza innovativa: la ricerca archeologica progettata e impostata per raggiungere scopi di comunicazione e di diffusione delle conoscenze. Così erano nati i Parchi, il Museo di Cittadella a Piombino, i vari ampliamenti e aggiornamenti dei parchi medesimi, il progetto Arcus attualmente in corso sull’acropoli di Populonia, finalmente avviato dopo anni di incertezze e titubanze amministrative. Questi anni hanno anche prodotto sviluppi virtuosi, come la ricerca su Poggio del Molino e il restauro del Museo Gasparri nel Castello di Populonia, grazie all’opera di Carolina Megale e di altri giovani. Il bilancio del passato è, dunque, più che positivo.

Quei tempi, però, sono passati e il loro passaggio è stato scandito da una grave crisi globale e di sistema, ben lontana dall’essersi esaurita. Serve, oggi, una progettualità nuova, ispirata, oltre che a legittime aspirazioni di ricerca, anche a ineludibili istanze di sostenibilità della ricerca stessa.

Il golfo di Baratti, da Poggio del Barone a Cala Moresca, con il relativo entroterra, ha tutte le carte in regola per diventare un modello di crescita per il futuro, fra storia e archeologia globale dei paesaggi, emergenze ambientali, occorrenze immateriali, turismo consapevole. Si tratta di un obiettivo indubbiamente ambizioso, forse velleitario ma, talvolta, è meglio sognare che rinunciare. Gli scopi principali, a mio modesto avviso, potrebbero essere:

  • - L’incremento della conoscenza globale del territorio, considerato nei suoi diversi aspetti (storici, sociali, culturali, economici, demografici, ambientali);
  • - Il varo di iniziative volte a trattenere gli studiosi nel contesto, in maniera che possano, alla fine delle loro ricerche, “restituire” alle istituzioni, ai privati, alle associazioni, alle scuole, i dati elaborati e gli strumenti conoscitivi idonei relativi al territorio medesimo;
  • - le iniziative di valorizzazione sostenibile delle diverse risorse territoriali (agricoltura, turismo, cultura);
  • - l’osmosi fra le sapienze importate dall’esterno e i saperi locali (materiali e immateriali);
  • - progetti di azione integrata fra mondi diversi ma contigui (ricerca universitaria, Società dei Parchi, mondo della scuola) con produzione di percorsi didattici per la comunità e per i visitatori.

Partiamo dalle certezze.

La prima è sicuramente rappresentata dalla presenza della Soprintendenza Archeologia (Andrea Camilli) che ha saputo far fronte alla terribile emergenza di questo ultimo, tempestoso inverno.

La seconda certezza è rappresentata dalla nuova governance della Società Parchi della Val di Cornia. Credo che essa saprà rappresentare al meglio presso le istituzioni (locali e regionali) preposte al governo e all'amministrazione del territorio, la grande ricchezza e disponibilità di competenze accademiche e scientifiche presenti sul territorio stesso. E questo non già, e non soltanto, dal punto di vista della ricerca, ma anche e soprattutto dal punto di vista della ricerca applicata e del suo riverberarsi positivamente, a seconda dei diversi grappoli di discipline, sulla vita quotidiana della comunità locale.

Insomma, se, da un lato, è impossibile immaginare questo luogo senza archeologia e senza la prosecuzione della ricerca archeologica, è di tutta evidenza come l’archeologia, da sola, non possa essere il solo vettore di trasformazioni virtuose ma debba coniugarsi con altre sapienze e saperi. Questo vale per tutte le altre discipline.

Il primo passo verso un possibile futuro potrebbe essere una carta che non chiamerei dei beni o del patrimonio culturale ma "del patrimonio territoriale (o paesaggistico)", in maniera tale da potere rappresentare tutto il ricchissimo tessuto del golfo e dei suoi dintorni, includendovi le diverse emergenze: storia, storia dell'arte, archeologia ma anche siti di interesse geologico e naturalistico e aree con un potenziale agro-alimentare di pregio da sviluppare. Vanno inclusi anche gli aspetti immateriali (antropologia culturale, tradizioni popolari, culti religiosi di ogni tempo).

In anni passati si è, inoltre, equivocato sulla pianificazione urbanistica del golfo e delle zone adiacenti. Esistono approcci urbanistici che non si limitano alla progettazione di rotonde spartitraffico e villette a schiera ma tengono in conto anche le caratteristiche specifiche delle comunità locali e il loro benessere complessivo. Forse sbaglio ma mi pare poco plausibile che si possano ripascere le spiagge e frenare l’erosione prescindendo da un ragionamento complessivo (e perciò globale) sugli equilibri idro- e geomorfologici del golfo medesimo.

Infine non va trascurato l’elemento della comunicazione e del relativo management. Forse, va ricostruito un rapporto con istituzioni accademiche di prestigio (penso alla Scuola Superiore Sant’Anna) in grado di fornire apporti efficaci e innovatori.

Una rottura rispetto al passato deve essere segnata dalla costruzione di una relazione organica e coerente con mondi con i quali, fino a questo momento, si è avuto un rapporto intermittente o, comunque, non del tutto soddisfacente: associazioni di primo piano (FAI, Italia Nostra e l’associazionismo e il volontariato locale, che possono contribuire in vari modi, non ultima la vigilanza), il mondo dell’impresa (agricoltura e turismo per primo), le già citate scuole e i singoli cittadini.

Si può pensare, infine, alla creazione di un centro virtuale, un forum on line, di analisi, di dibattito e di elaborazione di proposte per la cura-gestione-valorizzazione del golfo. Lo scopo primario è quello di coordinare l’applicazione di saperi e competenze che molto spesso si manifestano su uno stesso territorio attraverso interventi e progetti scientifici frammentati o non efficacemente sintonizzati, favorendo sinergie con le istituzioni di governo in maniera proattiva: i tre Ministeri interessati (Ambiente, Mibact e Miur), la Regione Toscana, i Comuni.

Sinergie, condivisioni, confronti: credo che oggi consiglierebbe questo, Riccardo Francovich.

Franco Cambi

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