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Lavoro giovedì 07 gennaio 2016 ore 10:59

Niente credito all'azienda strappata alla camorra

Nel 2013 la Fedelpol era stata sequestrata per i presunti legami tra il titolare e un clan. Ora l'azienda è sana ma le banche hanno chiuso i rubinetti



LIVORNO — A denunciare la vicenda sono stati i vertici della Uiltucs della costa che ha riassunto così la storia recente dell'azienda Fedelpol di Rosignano Marittimo.

"Prima lo scandalo - si legge nella nota del sindacato - la Fedelpol Srl viene travolta da un’inchiesta e viene arrestato l’intestatario della società accusato di legami e affari con il clan camorristico Belforte. Poi l’amministrazione giudiziaria, scelta forzata dopo il sequestro disposto dalla DDA di Napoli. E ora una nuova batosta per gli oltre 60 lavoratori dell’istituto di vigilanza di Rosignano Marittimo, ora con sede a Livorno: le banche chiudono i rubinetti e non erogano il credito. Fondi, questi, che servirebbero per garantire lo stipendio ai lavoratori, in arretrato di alcune mensilità, sempre in bilico tra scandali e incertezze e colpiti da costanti, gravi, disagi".

Negli ultimi mesi, poi, nonostante l'azienda fosse stata risanata tanto da essere inserita nella 'white list' della prefettura di Livorno, i pagamenti ai lavoratori sono arrivati a singhiozzo. "A fine dicembre - ha denunciato Sabina Bardi segretaria responsabile Uiltucs Toscana Costa - i dipendenti dovevano ancora ricevere gli stipendi di ottobre, novembre e tredicesima".

Colpa, dicono, della mancanza di credito assicurato dalle banche alla Fedelpol, che si occupa di vigilanza privata.

“Ci meraviglia il loro atteggiamento – ha tuonato Bardi – perché fino a quando la società era in mano a personaggi più che discutibili aveva finanziamenti e fondi, mentre oggi che è perfino nella ‘white list’ della Prefettura di Livorno e agisce in modo chiaro e trasparente viene penalizzata. Perché la sua situazione porta, paradossalmente, un’azienda sana con un’elevata professionalità e molte potenzialità a vedersi rifiutare affidamenti dalle banche per via della sua situazione”.

“Per questo – ha concluso Sabina Bardi - denunciamo con forza l’accaduto e, oltre a chiedere un incontro all’Abi Toscana per comprendere i motivi di tale atteggiamento, ci appelliamo alle istituzioni territoriali livornesi: Camera di Commercio, Prefettura, Comune, Confindustria, Cna, Confcommercio. Questo, affinché si facciano tutti promotori, con le organizzazioni sindacali di categoria e le associazioni rappresentati il tessuto sociale (da Arci a “Io rilancio il lavoro”, passando per Libera e Sos Impresa) di un forte messaggio ai cittadini e alle cittadine:un’azienda sottratta alla criminalità rinasce, non muore!!!” 


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