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Cecina ricorda la tragedia istriana

Venerdì 10 febbraio è il giorno in ricordo dei massacri delle Foibe e dell'esodo degli italiani da Istria e Dalmazia. La cerimonia nella piazza dedicata

Il ritrovo sarà venerdì 10 febbraio in piazza Martiri delle Foibe alle 9,30 per la deposizione di una corona di alloro alla stele realizzata dall’artista Ferdinando Cerri e successivamente si terrà un incontro al Comune Vecchio per la proiezione di un documentario.

Parteciperanno i rappresentanti delle istituzioni locali, delle Forze dell’Ordine, delle associazioni combattentistiche e d’Arma e alcuni rappresentanti degli studenti delle scuole superiori. Tutti i cittadini sono invitati. Presenzierà alla cerimonia il presidente del Consiglio Comunale Luigi Valori e il rappresentante dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia – sezione di Livorno Capitano di vascello Sergio Laganà.

“E’ giusto e doveroso per tutte le vittime ed i perseguitati di questa tragedia troppo a lungo ignorata – ha commentato il presidente del consiglio comunale Luigi Valori – che la verità dei fatti sia finalmente chiara e conosciuta da tutti. Da qui ripartire per riaffermare quei valori di convivenza civile e fratellanza umana che stanno alla base della nostra Repubblica democratica e lavorare tutti insieme perché la pace sia sempre un bene da perseguire e custodire”. “Non ci stancheremo mai di dirlo – ha proseguito Valori - comein altri drammi dell’umanità, dove non vi è stato rispetto per la vita umana, come sia indispensabile promuovere la conoscenza, il ricordo e la memoria. Per far questo non possiamo non coinvolgere i giovani”.

Migliaia di uomini, donne, bambini e anziani vennero trucidate nelle foibe, i crepacci naturali delle regioni carsiche, dalle truppe del Maresciallo Tito. Una persecuzione che proseguì fino al 1947 dopo la ratifica del trattato di pace che pose fine alla II guerra mondiale e che sancì il passaggio dell’Istria e della Dalmazia alla Jugoslavia, provocando l’esodo di circa 350mila persone che fuggirono da quei territori, senza nulla e che non trovarono nell’Italia di allora una grande accoglienza.